Acque reflue industriali: cosa dice la Normativa

 

Le acque reflue industriali e il loro trattamento/gestione sono disciplinati da diverse normative, al fine di rendere la fase di depurazione quanto più efficace e valida possibile.

 

 

Per far sì che un impianto di depurazione e di trattamento delle risorse idriche provenienti da aziende e fabbriche rispetti quanto previsto dalla legge, è importante conoscere norme e decreti di riferimento, che vedremo di seguito grazie anche alla consulenza offerta dagli esperti del settore, gli amici di Culligan.it - Impianti industriali di Culligan.

 

Il D.Lgs. N. 4/2008

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La prima normativa valida ai fini di un corretto trattamento delle acque reflue industriali è il D.Lgs. N. 4 del 2008. Quest’ultimo innanzitutto definisce come acque reflue industriali tutte quelle che provengono da impianti ed edifici che svolgono attività commerciali, che producono beni. Sono insomma tutte quelle acque reflue che si differenziano dalle domestiche e dalle meteoriche di dilavamento.

La norma in questione ha apportato modifiche a quelle precedenti, ampliando il concetto di acque reflue industriali che oltre ad essere quelle provenienti da edifici o impianti industriali, sono considerate tali anche quelle prodotte da un sistema di collettamento.

Le modifiche alle precedenti norme in vigore erano d’obbligo in quanto era necessario appianare la primaria “differenza qualitativa” sussistente tra le acque reflue domestiche e quelle meteoriche di dilavamento.

 

 

Il D.P.R. n. 227 del 19 ottobre 2011 e il D. LGS 152/2006

Sulla falsariga del contenuto del D. Lgs. N. 4/2008, in un secondo momento sono state introdotte altre norme per disciplinare le acque reflue industriali.

Si pensi ad esempio al DPR 227/2011 che ha definito più nel dettaglio quali tipologie di acque reflue industriali siano assimilabili alle acque reflue urbane.

Rientrano tra queste tipologie di acque reflue industriali anche le risorse idriche provenienti da attività produttive di tipo agrozootecnico. Per questa categoria ad hoc vi era stato già in precedenza un decreto (il n. 152/2006) a precisare la qualità e la consistenza delle acque reflue provenienti da queste aziende, annoverandole quindi tra quelle urbane.

Rientrano nelle attività agrozootecniche: le imprese agricole, le imprese di allevamento ittico, le imprese contadine e così così. Tale precisazione nasce in Italia per uniformarsi a quanto previsto dall’attuale politica europea in materia di tutela delle acque dall’inquinamento di nitrati di origine agricola (Dir. n. 91/676/CEE).

 

 

Il D. LGS. 152/2006 stabilisce che la classificazione delle acque reflue industriali provenienti da allevamenti e aziende agricole non va più stabilito in base ai quintali di peso vivo di bestiame per ettaro, ma piuttosto tenendo conto della mole di azoto prodotta in un anno nelle aziende che confluisce negli effluenti di allevamento. In tal modo diventa determinante l’effettiva potenzialità di inquinamento nel tempo dell’allevamento, in termini di chilogrammi di azoto per ettaro, in rapporto al diverso grado di impatto ambientale dovuto alle diverse specie animali.

Dopo aver dato delle chiare definizioni su acque reflue industriali e su acque reflue industriali provenienti da attività agricole, la normativa in esame disciplina anche l’iter da seguire circa larichiesta di autorizzazione agli scarichi. Quest’ultima deve essere chiara e precisa, ma soprattutto completa di ogni dato necessario.

Ad esempio va indicata sia la quantità che la qualità dello scarico, nonché la mole di acque reflue da trattare ed eventualmente scaricare. Vanno precisati altresì la tipologia del ricettore, l’individuazione del punto previsto per eseguire i prelievi di controllo, la mole del flusso degli scarichi, e così via.

Sempre per essere zelanti e precisi, nella richiesta di autorizzazione vanno indicate anche le caratteristiche specifiche e funzionali dell’impianto di depurazione, le caratteristiche dell’attività industriale che produce risorse idriche di scarico, l’eventuale presenza di sostanze nelle acque di scarico. In merito alla capacità di produzione, essa si inizia tenendo conto della capacità massima oraria moltiplicata per il numero massimo di ore lavorative giornaliere e per il numero massimo di giorni lavorativi.

A tal proposito si precisa che sono le ATO (Ambito Territoriale ottimale)effettuare la valutazione tecnica sulledomande di autorizzazione ricevute dalle industrie per lo scarico in fognatura. Di contro, l’autorizzazione allo scarico viene rilasciata alle aziende dalla Provincia.

 

 

Le norme europeea

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Le norme europee andrebbero recepite dagli Stati membri, e in materia di acque reflue, l’Italia sta lentamente recependo, uniformandosi così ai limiti fissati sulle stesse. Una delle direttive europee a riguardo è la 91/271/Cee, la cui mancata applicazione negli ultimi periodi ha portato ad avvisi reiterati e a sanzioni pecuniarie per le aziende. Ancora oggi purtroppo ci sono attività che non rispettano gli schemi ostativi stabiliti dall’UE in materia ambientale.

Non a caso, la Corte di Giustizia Europea ha condannato il nostro paese per non avere completato le fogne e i depuratori di 74 città, in particolare in Sicilia. Si parla di 25 milioni più 30 per ogni sei mesi di ritardo nel completare i lavori. Questo potrebbe accadere anche alle industrie, che hanno dei limiti ulteriori.

Un’altra norma europea che andrebbe rispettata è il regolamento 305/2011, nato al fine di consentire una più meticolosa e rapida selezione, progettazione e installazione degli impianti di depurazione delle acque reflue.

Per l’installazione di questi ultimi occorre infatti l’obbligo di utilizzo di prodotti normati e certificati CE nonché l’intervento da parte di un’azienda ad hoc, in grado di rilasciare la cosiddetta Dichiarazione di Conformità dell’impianto secondo quanto previsto dal DM 37/08.